News
2° MORE Talk | L’architettura e gli stili dell’abitare, in rapporto con il mercato
È possibile portare innovazione nell’ambito delle costruzioni residenziali? In che misura possono coesistere le esigenze di personalizzazione del committente con le scelte architettoniche del progettista? Che ruolo è chiamato a svolgere l’architetto in questo contesto, con quale responsabilità?
Queste le sfide lanciate nel corso del secondo MORE TALK che si è tenuto la scorsa settimana a Milano. Il secondo MORE TALK rientra nel progetto “Costruire il nuovo millennio” promosso da Moretti MORE, curato dall’arch. Stefano Larotonda, il quale si svilupperà anche con un concorso di progettazione ed una mostra a Venezia che documenterà l’intero progetto.
Il ciclo di conferenze MORETALKS – come dichiara Valentina Moretti- architetto e Vicepresidente di Moretti Spa, direttore creativo Moretti-MORE e ideatrice dell’iniziativa, nasce con l’intento di individuare, insieme agli architetti, nuovi linguaggi per portare l’architettura vicina al mercato”.
Il convegno “Forme dell’abitare: dal pensiero al mercato” è stato moderato dall’architetto Federico Tranfa. Hanno dibattuto sul tema l’ing. Davide Albertini Petroni, AD Risanamento Spa e il Dott. Paolo Inghilleri, psicologo sociale.
L’arch. Riccardo Blumer cura nel corso di ogni MORETALK una speciale rubrica e durante l’ultimo incontro ha illustrato il rapporto tra architettura e danza, evidenziando di quest’ultima il pensiero di progettazione dello spazio.
In sintesi riportiamo gli interventi dei presenti:
Ing. Davide Albertini Petroni – AD Risanamento Spa
“Il mercato residenziale, a differenza di quello del settore dell’ufficio o del retail, è decisamente meno pronto al cambiamento. Di fatto è un mercato costituito per il 70% da case di oltre 40 anni; il che significa chiaramente che il modello prevalente permane quello dell’abitazione tradizionale. È necessario a mio avviso che ci sia più sintonia tra esigenze di mercato e proposta immobiliare ed è urgente un netto cambio di paradigma. La sfida dunque è affermare nuovi modelli.
In merito alla personalizzazione, è importante prima individuare il target di riferimento e, in un secondo momento, decidere a che livello attuare le possibilità di scelta. A mio avviso, gli spazi e i servizi devono essere comunque decisi dall’architetto. I servizi che un immobile offre nel luogo in cui sorge sono il vero valore aggiunto alla collettività, che solo l’architetto può apportare.”
Queste le sfide lanciate nel corso del secondo MORE TALK che si è tenuto la scorsa settimana a Milano. Il secondo MORE TALK rientra nel progetto “Costruire il nuovo millennio” promosso da Moretti MORE, curato dall’arch. Stefano Larotonda, il quale si svilupperà anche con un concorso di progettazione ed una mostra a Venezia che documenterà l’intero progetto.
Dott. Paolo Inghilleri- psicologo sociale.
“Parlando di innovazione e tradizione, è necessario tenere a mente quanto gli oggetti costruiscano la mente, soprattutto dal punto di vista cognitivo e affettivo/emozionale. Le città, e le case dunque, sono come gli oggetti, creano rapporti di familiarità e l’uomo cerca quello che conosce e riconosce come domestico. I processi decisionali seguono i meccanismi emozionali: perciò l’innovazione non è facilmente accettata perché esce dal “noto”, dal “domestico”. Si può di fatto parlare di una certa lentezza evolutiva nell’ambito residenziale; le novità quindi devono essere graduali, non troppo veloci per esser accettate. Le imprese quindi dovrebbero interpretare maggiormente i gusti e i desideri del cliente: ciò che è nuovo non sempre funziona se non rispetta la dinamica della familiarità.
Le nuove possibilità, in termini di sperimentazione, sono costituite senza dubbio dagli spazi esterni: ovvero, si deve andare nella direzione di realizzare strutture abitative con una forte interazione sociale.
Il dialogo con la natura diventa dunque centrale, influendo positivamente sulla qualità dell’abitare. Ritengo importante individuare uno dei fattori centrali dotato di una funzione “ristorativa”, come appunto la natura. La vera sfida del costruire nel nuovo millennio è trovare “fattori ristorativi “ che consentano di ricreare il senso di domesticità dato dalla casa tradizionale.
La personalizzazione è positiva perché coinvolge il senso di auto-determinazione. Ci dev’essere un’alleanza tra i piani: il progettista deve decidere cosa è personalizzabile e cosa no e deve decidere a seconda dei margini d’azione”.
Arch. Riccardo Blumer
“C’è un elemento che mi pare debba riconquistare il suo ruolo centrale all’interno del ragionamento sull’architettura. Ed è il concetto di danza. La danza è legata all’architettura perché mette in gioco la capacità di porre atti in sequenza mettendo in relazione il corpo con il tempo e il simbolo. La danza mette insieme un linguaggio che attesta una precisa gestualità significante; si tratta di una vera fondazione del rapporto del corpo con lo spazio. Il progetto non è che una sequenza di atti nello spazio, proprio come la danza”.
Arch. Valentina Moretti -Vicepresidente di Moretti Spa, direttore creativo Moretti-MORE
“Cosa succede quando si sposta l’attenzione dal contesto urbano alla provincia? Perché a differenza dei centri urbani in cui c’è una certa attenzione al costruire, nella provincia trionfa il non senso? Mi pare che nello sprawl ci sia una sospensione del senso di responsabilità dell’architetto. Se un cliente deve costruirsi una casa mi pare corretto che si affidi all’architetto, un po’ come un malato si rivolge al medico per farsi prescrivere un farmaco. L’architetto è in grado di condurre l’acquirente verso delle scelte consapevoli su come debba realizzata correttamente la propria abitazione.
Ecco che l‘architetto ha una precisa responsabilità in merito al costruire. Ma, mi domando, dove è finito oggi questo senso di responsabilità, soprattutto fuori dalle città? Credo fermamente che qualsiasi costruzione debba possedere un senso molto chiaro, in qualsiasi luogo sorga, sia città o provincia. Il punto è trovare un linguaggio che avvicini l’acquirente all’architettura; dobbiamo identificare un modo per farci capire. Il nostro paesaggio oggi non rappresenta affatto il nostro tempo. Sta a noi architetti, prendere una chiara posizione, e agire di conseguenza”.